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Spunta un candidato irlandese per la Presidenza Europea

 

John Bruton, ex premier targato Fine Gael e candidato alla presidenza UE

John Bruton, ex premier appartenente al principale partito di opposizione nella Repubblica Irlandese, fa evidentemente suo il motto americano che da noi potremmo tradurre con un eccesso di ottimismo "chiunque può diventare presidente degli Stati Uniti d'Europa"

Ieri si è proposto l’ex primo ministro John Bruton, appartenente al Fine Gael, principale partito d’opposizione in Irlanda e forza vincente nelle elezioni europee che si sono tenute a giugno, in accordo con la tradizione locale il Governo di Dublino non ha potuto fare altro che accordargli il proprio sostegno

 

E’ uno scherzetto di Halloween che il Governo di Brian Cowen, Fianna Fail, non si aspettava, e che non gli ci voleva adesso. John Bruton, ambasciatore europeo a Washington, è andato a dire a tutti gli ambasciatori dei 27 negli Usa che lui vuole diventare il primo Presidente stabile della Unione Europea, risultato: il governo, che aveva dato l’ok all’inglese Blair, ha dovuto dire quello che si dice da quelle parti in questi casi, che una volta che un irlandese si è fatto avanti, l’Irlanda lo sostiene (“once an Irishman is going forward, we’re supporting the Irishman” così il ministro degli esteri Michael Martin ieri).

Toni di circostanza a parte, la candidatura mette in luce il partito liberale (Fine Gael) che ha stravinto le elezioni europee e che minaccia concretamente le scarse speranze del Fianna Fail di restare al potere: partito degli umili, della nazione e della spesa, il Fianna Fail nel tempo è rimasto solo il partito della spesa, ciò che è stato visto come un merito negli anni ’90 e in gran parte degli ultimi anni quando c’erano soldi da spendere, ma che non è più accettato a cuor leggero adesso che la crisi ha investito in pieno gli Stati Uniti e con loro anche l’Irlanda, legatissima all’economia stelle e strisce.

L’imbarazzo è accentuato dall’atteggiamento tenuto dal leader del Fine Gael, Enda Kenny, che prima ha premuto sul Governo perchè quest’ultimo preparasse un terreno favorevole a promuovere Bruton al rango di Commissario nella legislatura europea, poi ha fatto saltare fuori in questo modo la candidatura – un fatto compiuto – a Presidente della UE (la notizia è arrivata in Irlanda direttamente con una lettera dell’ambasciatore irlandese negli Usa, Michael Collins, che ha avvisato il Governo lasciandolo cadere letteralmente dalle nuvole).

Dotato di una sua logica, sia pure molto debole, nel contesto favorevole a candidati di medio profilo che si è venuto a creare, il passo di Bruton si configura però soprattutto come una tattica di politica interna, laddove sembra che Mary Robinson, candidato molto credibile, si sia esclusa dalla corsa e nello stesso tempo l’area geografica in questione, nella sua interezza, conta su Tony Blair che è un personaggio forte, alla cui figura politica sarebbe realistico contrapporre soltanto valide alternative, che al momento non sono molte, a parte Lipponen e Balkenende. In questo quadro non sarà un dettaglio insignificante la posizione dell’Irlanda, sperando che la Repubblica riesca ad acquisirne davvero una, al di là dell’appoggio formale a Bruton, perchè il Governo di Brian Cowen ha ricevuto, nella persona del Taoiseach (primo ministro) stesso, una serie di applausi dai leaders europei sempre ieri, per il ruolo dimostrato da Dublino nel successo di forma e di sostanza nel referendum pro-costituzione europea del 2 ottobre.

Aldo Ciummo

Lo storico Gunnar Wetterberg: “il nord Europa farebbe meglio insieme”

 

Un'aurora boreale, simbolo del nord estremo per gli europei

Un'aurora boreale, simbolo del nord estremo per gli europei. Qualcuno immagina una vera e propria fusione dei paesi del nord del continente, già fortemente legati in una serie di istituzioni ed iniziative. Ma questi paesi sono entrati o stanno per entrare a far parte già di un sogno che forse in modo unico ha vinto nel tempo sulla realtà: l'Europa Unita

La proposta dello studioso mira a rendere i cinque paesi nordici di Svezia, Finlandia, Danimarca, Norvegia e Islanda più consapevoli del loro peso e del ruolo che potrebbero giocare nelle arene internazionali, ma non è molto realistico allo stato attuale

 

Lo storico svedese Gunnar Wetterberg ha scritto, sul giornale Dagens Nyteher, che il Nord Europa dovrebbe considerare l’opportunità di unirsi in un “blocco di ghiaccio” capace di giocare un ruolo più incisivo nei commerci, negli scambi culturali e nella cooperazione. La regina di Danimarca,  Margrethe II sarebbe la rappresentante secondo l’ipotesi tracciata dallo studioso. Non mancano paralleli storici, come l’unione di Kalmar che ha visto fusi Svezia, Danimarca e Norvegia tra 1397 e 1523, governati all’epoca, con una curiosa assonanza, da una regina danese che si chiamava Margareta.

Vero è che difficilmente si potrebbe ignorare sulla scena mondiale un’ area nordica stretta da rapporti ancora più intensi di quelli che i cinque paesi in questione (Svezia, Finlandia, Danimarca, Norvegia ed Islanda) già intrattengono tra loro all’interno del Consiglio Nordico, ma è pure vero che una collaborazione molto stretta esiste nella realtà e che tutte le questioni attinenti i limiti degli stati nazionali oggi stanno sfumando in un’immagine del tutto inedita nell’ambito dell’Unione Europea (di cui fanno parte la Svezia, che attualmente ne è presidente di turno molto attivo sui temi dei diritti, dell’istruzione e dello sviluppo sostenibile, la Finlandia e la Danimarca) e dello Spazio Economico Europeo (di cui fanno parte la Norvegia e l’Islanda, che ha chiesto di entrare anche nella UE e che molto probabilmente vedrà la sua richiesta accettata in tempi rapidi).

Ma gli studiosi, si sa, trovano sempre qualche elemento che avvicina i loro sogni alla realtà e Wetterberg afferma che armonizzando l’economia e le leggi che la riguardano nel continente, nuove istituzioni come l’Unione Europea e lo Spazio Economico Europeo hanno finito per rendere più facile, per i paesi del nord Europa, superare le differenze che pure esistono ed avvantaggiarsi delle affinità che restano nella vita di tutti i giorni. Con venticinque milioni di abitanti, tantissime risorse e competenze in gran parte condivise, argomenta il professore, il Nord potrebbe portare avanti i propri progetti con un certo successo. E si potrebbe tranquillamente aggiungere alle riflessioni di Wetterberg un punto in più a favore del suo desiderio, notando che anche l’Unione Europea e l’occidente in generale si avvantaggerebbero di iniziative più forti da parte di nazioni che anche singolarmente hanno dato in questi decenni un enorme apporto alla promozione dei diritti, seconde probabilmente soltanto all’UK.

Opinioni a parte, però, lo stesso Wetterberg si  rende conto che ciò che è legittimamente auspicabile sulla carta non ha molta probabilità (e forse allo stato attuale neppure molta utilità) di concretizzarsi. Difatti, ci sono diverse lingue ed in ogni caso differenti storie e culture indipendenti nel Nord Europa, inoltre l’area scandinava non è, ferma restando la sua particolarità intessuta di alta qualità della democrazia e coesione sociale, un territorio unico staccato dal resto d’Europa, ma piuttosto un insieme di culture estremamente legato (da una serie di somiglianze storiche e sociologiche) con una vasta fascia del nostro continente comprendente Regno Unito e Olanda, è lecito immaginare che i paesi dell’estremo nord proseguiranno quindi l’evoluzione delle loro caratteristiche autonomamente, integrandosi sempre di più nella vicenda europea ed occidentale.

Aldo Ciummo

Energia elettrica più cara in UK con l’esaurimento delle riserve nel Mare del Nord

Deputati di diversi partiti hanno portato al centro del dibattito i costi dell’energia per i cittadini, ma le opzioni politiche sono limitate laddove entrano in gioco fattori strutturali

 

Si parla di energia alla camera dei Comuni, la camera bassa del Parlamento britannico, politici laburisti come John Grogan danno battaglia alla propria stessa maggioranza, ma in senso lato soprattutto ai “privilegiati” con una critica “alla Tremonti” alle maggiori aziende del settore nel Regno Unito:  British Gas,  E.O.N,  EDF Energy,  Npower,   Scottish & Southern   e   Scottish Power sarebbero da investigare a causa della scarsa percentuale di riduzione dei prezzi delle materie prime lasciata arrivare ai cittadini, per i quali anzi complessivamente le spese aumentano.  Socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti come tendenza, come da noi direbbero magari l’ex-An, associazioni dei pensionati, gruppi cattolici e tutti quelli che episodicamente fanno ancora riferimento alla centralità del lavoro e alla realtà sociale, come ambienti del politico.

Nel Regno Unito, dove il consumo e i suoi diritti sono oggetto di numerosi dibattiti, la mozione in Parlamento è stata sostenuta da una cinquantina di deputati conservatori e liberaldemocratici e quindi pur essendo promossa da un laburista si configura come un’iniziativa “antisistema” nell’UK che a detta di tutti si prepara al dopo Brown. Il ricambio al Governo però è ancora visto dalla maggioranza degli inglesi con un pò di diffidenza, i Conservatori, l’ultima volta (parecchio tempo fa davvero) che governarono “fecero i Conservatori” e i sudditi di Sua Maestà che alla coesione sociale ed ai diritti concreti ci tengono molto di più che ai simboletti, se lo ricordano bene.

Che i fornitori non si facciano concorrenza non sarebbe la prima volta che accade, ma non è solo per questo che i prezzi del gas per uso casalingo in Inghilterra quest’anno sono il doppio rispetto a dieci anni fa e che l’energia elettrica costa circa il 50 per cento in più, e tra sette anni secondo le previsioni più accreditate potrebbe costare il quadruplo. Sono tempi un pò duri per Londra da un punto di vista energetico, perchè alle dinamiche impresse ai prezzi dalla crescente domanda cinese, indiana, brasiliana, si aggiunge l’inesorabile impoverimento delle riserve del Mare del Nord, giacimenti che non sono infiniti. Altri paesi come la Norvegia hanno lo stesso problema: anche il Regno Unito a quanto sembra sta pensando di affrontarlo con un programma di investimenti a tutela delle generazioni future. Ma, come si sa, farsi una pensione costa.

Aldo Ciummo

 

Finlandia apripista dei diritti alla conoscenza

 

Finlandia

Una immagine della Finlandia. I paesi possono cambiare la propria posizione "relativa" cioè la possibilità di godere o meno della vicinanza alle reti di commerci e di produzione internazionali, sfruttando un fattore strategico: la conoscenza

La decisione del Ministero dei trasporti e delle comunicazioni di Helsinki prosegue nella direzione  che ha permesso ad un paese relativamente periferico di porsi al centro del progresso tecnologico

 

Qualche giorno fa, nel corso della trasmissione “Report”, Milena Gabbanelli lanciava un interrogativo: perchè in paesi dove tutti hanno il telefonino e la popolazione anche scolastica è enorme siamo più che altro meri consumatori di queste tecnologie ed all’avanguardia ci sono paesi anche geograficamente periferici come la Finlandia? Un provvedimento legislativo adottato a metà del mese corrente dal governo di Helsinki offre delle indicazioni al riguardo.

I fornitori della connessione, in Filandia, dovranno assicurare una portata di almeno un megabyt al secondo a partire dal prossimo luglio. Il Governo sta lavorando affinchè la velocità fornita agli utenti sia ancora maggiore. La Finlandia è stata quindi il primo paese nel mondo a dichiarare l’accesso a banda larga un diritto legalmente riconosciuto.

Molti dei cinque milioni e duecentomila abitanti della nazione nordica si trovano in aree rurali. Laura Vilkkonen, consulente legislativo per il ministero dei trasporti e delle comunicazioni, ha definito il provvedimento un passo intermedio teso ad arrivare ad una velocità cento volte maggiore nel 2015. Ha aggiunto che servizi avanzati in grado di dare accesso alla conoscenza, alle notizie e al contatto interpersonale sono cose di cui tutti ormai sentiamo il bisogno ed esercitiamo il diritto.

Si tratta di garantire un lusso, comunque una comodità secondaria? non tanto, nemmeno soltanto di favorire diritti individuali. Tornando all’interrogativo da cui si era partiti, se le aziende che producono servizi ad alto tasso di conoscenza e che valorizzano la creatività fioriscono in paesi come la Finlandia e competono poi in modo visibile nelle arene del commercio e della ricerca internazionali, non è perchè la gente si ritrova un computer o dei libri nella culla.

Il sistema scolastico, la società e lo stato che sostiene determinati indirizzi strategici hanno favorito la conoscenza e la creatività a partire dai mezzi di comunicazione e di espressione che le persone sentivano come più vicini alla propria vita quotidiana, ieri magari i libri e i giornali, oggi i libri ed i giornali, ma anche la rete. L’idea di fondo è che se tante persone usano il web e lo considerano un mezzo positivo per restare in contatto o per accedere a nozioni e fatti, domani forse sapranno usarlo per progettare qualcosa di nuovo, con cui la comunità andrà avanti.

Aldo Ciummo

 

L’odio settario morde ancora Belfast, va avanti il contrasto ai dissidenti armati

 

Sfilata dello Sinn Féin a Dublino, autunno 2005

Bambini con la divisa dell'Ira sfilano al Make Partition History di Dublino, Autunno 2005, FOTO di Aldo Ciummo, I ricordi dolorosi del passato recente e remoto sono stati introiettati anche da gran parte delle giovani generazioni, che ormai vanno verso un approccio costruttivo, promosso pure dai due opposti colossi politico-nazionali del Nord Irlanda, Sinn Féin e Democratic Unionist Party, entrambi coinvolti in passato nella deriva paramilitare dell'Ulster

In Ulster si cerca di evitare un’escalation dopo che dieci giorni fa una bomba ha ferito una agente di polizia, a più di dieci anni dall’entrata in vigore degli accordi di pace

 

Da giorni e giorni l’Ulster si interroga e si impegna in operazioni di polizia ed iniziative culturali per superare il trauma dei disordini politico-religiosi che sembrano riemergere dall’ombra del passato e trattenere con la paura una provincia perennemente in bilico tra l’Europa e i suoi fantasmi territoriali.

Il 16 ottobre 2009, come in un vecchio film con Daniel Day Louis, una donna, un agente di polizia, compie il semplice gesto di mettersi alla guida ed una bomba esplode. Ipotesi confuse si rincorrono, quello che è chiaro è che l’odio settario morde ancora la stupenda città di Belfast, sede universitaria e cosmopolita, il cui piccolo centro turistico è circondato da sobborghi dove Guglielmo D’Orange raffigurato sulle pareti vicino all’effige dei lealisti caduti e l’effigie di Bobby Sands che sorride triste da una casa che fa angolo tra due quartieri ricordano ancora ai loro abitanti che questa è ancora la città dove in periferia il 97% delle persone abita soltanto vicino ad altri cattolici o ad altri protestanti, e che in mezzo ci sono diciassette muri, più uno che corre sottoterra in uno dei principali cimiteri urbani.

L’Ulster sta cambiando, certo, con l’accordo del Venerdì Santo del 1998 e la sua applicazione a partire dalla primavera del 2007, con una coabitazione a mala voglia tra quelli che sulla opposizione alla tregua hanno costruito forze capaci di scavalcare gli altri partiti. Le fazioni hanno consegnato le armi (come ha fatto lo Sinn Feinn, cattolico e “sociale” legato all’Ira) o comunque le hanno abbassate (così il Democratic Unionist Party del reverendo Ian Pasley, che è riuscito a catalizzare intorno all’integralismo presbiteriano l’orgoglio degli scozzesi legati ai gruppi armati). Il governo di unità nazionale è stato uno dei passi che ha accompagnato la società verso lenti progressi, di cui l’apparizione, sia pure minoritaria, di nuove liste estranee alla divisione settaria in occasione delle ultime consultazioni europee, liste come la nuova sinistra laica ed ecologista, è stata un’avvisaglia.

Ma in alcuni quartieri gruppi dissidenti dell’Irish Republican Army, come la Real Ira e il Continuity Ira (autrici di altri attacchi dinamitardi negli ultimi mesi) o noccioli duri delle milizie lealiste quali il Loyalist Volunteer Force (LVF) hanno ancora dalla loro il risentimento di una provincia spaccata a metà fin dal 1690, quando gli orangisti protestanti ebbero la meglio nella lotta per la corona della Gran Bretagna, Irlanda compresa. Poi la partizione tra Nord e Sud nel 1920, l’Ulster (formato dalle sei contee del nordest) restava nel Regno Unito, a carissimo prezzo. La minoranza cattolica continuava a lottare per unirsi al sud, il governo autonomo protestante la escludeva da tutte le decisioni affidandosi al fortissimo senso di appartenenza dei lealisti favorevoli al governo britannico.

Negli anni ’50 e ’60, organizzandosi in gruppi per i diritti civili mutuati da quelli dei neri in America (che gli emigranti irlandesi conoscevano bene) i nazionalisti riuscivano ad ottenere delle formali garanzie, i paramilitari lealisti reagivano attaccando i quartieri “verdi”, l’Irish Republican Army rispondeva con gli attentati. Nasceva la potenza militare dell’Ira, che gli irlandesi dell’Ulster in crescita demografica cominciavano a vedere come l’unico riparo contro l’oppressione militare, e iniziavano i guai per il Regno Unito, le cui politiche di pace si scontravano con una situazione sul campo cristallizzata da decenni e aggravata dall’ostinazione di quella parte dei protestanti convinta che “la corona” andasse difesa contro l’Ira e gli irlandesi e contro tutti, anche contro il governo di Londra. Dopo la morte di Bobby Sand in carcere per sciopero della fame nel maggio del 1981 la situazione cambiò, i nazionalisti crebbero politicamente ed elettoralmente, il Regno Unito spinse i lealisti ad essere più realistici e evolversi in vista di accordi tra le due comunità.

Oggi i cattolici irlandesi sanno che presto non saranno più una minoranza, la loro crescita demografica è più alta e contano su un rapporto privilegiato con l’immigrazione europea, specie dell’est, i protestanti sanno che il futuro dell’UK e dell’Ulster è nella Ue, come quello dell’Irlanda. Ma quando il futuro fa paura, la comunità offre delle certezze, anche qualora queste siano rappresentate dai murales dei parenti morti. E’ indicativo che nelle ultime elezioni europee il DUP, forza politica del “duro” Paisley, non è riuscita ad eleggere nessuno ed è stato scavalcata per la prima volta dallo Sinn Feinn, ma solo perchè molti voti dei lealisti sono andati al Traditional Unionist Voice, che ha raccolto un 13% di voti (riferito al solo voto della comunità protestante significa quasi un quarto dei voti) sulla base della opposizione ad oltranza agli accordi di pace ed alla coabitazione di governo.

Aldo Ciummo

STORIE D’EUROPA | Il nuovo ministro della Salute tedesco Philipp Roesler è il volto di un Occidente capace di andare oltre i diversi razzismi

 

 

Philipp Roesler e la moglie, medico di origine asiatica ed esponente di un partito di destra, sintetizza una Europa reale che si impone agli opposti razzismi etnici e politici

Philipp Roesler con la moglie, medico di origine asiatica ed esponente di un partito di destra, Philipp Roesler sintetizza una Europa concreta che si impone agli opposti razzismi etnici e politici

Il nuovo Governo di Centrodestra in Germania formato da popolari (Cdu-Csu) e liberali della Fdp presenta, al di là delle considerazioni politiche, una fisionomia indicativa dell’Europa contemporanea. Un asiatico per la prima volta ministro.

 

 

 

La riconferma di Angela Merkel, questa volta alla testa di una coalizione dai caratteri più chiaramente di Centrodestra, dopo la fine della Grosse Coalition, ha avuto un certo spazio mediatico (meno del dovuto se si pensa a quanta esposizione hanno le vicende domestiche e mondiali e alla scarsità di notizie dagli altri paesi europei). Ci sono molti aspetti delle vicende politiche tedesche sulle quali varrebbe la pena di soffermarsi.

Lasciamoci incuriosire da un volto, quello di Philipp Roesler, una faccia asiatica, sicuramente consueta per i giovanissimi ma probabilmente una sorpresa per gran parte della popolazione, anche perchè è il primo cittadino di origine asiatica ad entrare in un governo del suo paese, lui è il ministro della Salute del nuovo gabinetto targato Merkel. Ma è soprattutto un esponente dell’Europa contemporanea, ha 36 anni, la moglie è tedesca, lo stesso Roesler porta questo nome perchè è cresciuto in Germania dopo essere stato adottato da piccolissimo.

La tendenza in molti paesi d’Europa, non solo i più avanzati come Regno Unito, Olanda e Svezia ma, molto limitatamente anche la Francia, è di rappresentare la popolazione nella gestione della cosa pubblica, da qui l’accesso alle più alte cariche da parte di cittadini che non hanno origine strettamente locale. Si tratta di processi spesso graduali, in Irlanda cambiamenti di questo genere stanno avvenendo per adesso soprattutto al livello delle consultazioni amministrative e si notano in particolare per il coinvolgimento di altri europei, che sono anche i più numerosi in realtà, in Francia il progresso è relativo, perchè poi come si vede tutti gli anni nella cronaca, sussistono situazioni di scarsa fusione delle comunità.

Un altro fatto meritevole di attenzione è che Philipp Roesler fa parte di una coalizione e di un governo di Centrodestra, e non in funzione di ornamento orientalista ma di qualificato esponente della sua componente più favorevole al mercato e più strutturata in senso politico, la Fdp (Liberali). Questo attira la curiosità degli elettori cresciuti in contesti fortemente ideologizzati come Italia, Francia e Spagna, dove da una parte l’area Conservatrice non trova facile assimilare la realtà sociale, trasformata dall’immigrazione e dalla sua larga integrazione nella vita quotidiana o trova difficile digerire fenomeni come l’etica laica della maggior parte della popolazione, ma dall’altra l’area tradizionalmente autointesa come progressista cura assai di più la difesa di una visione del mondo (poniamo, che un immigrato non debba stare a destra oppure che chi è a destra non possa dedicarsi sinceramente all’integrazione)  e la rendita di poteri che ne deriva di quanto non curi la concreta cooperazione con cittadini stranieri e con altre categorie e in generale più di quanto non si impegni ad essere presente nella società al di là di una funzione di testimonianza.

Roesler, tipico europeo dei nostri tempi, è stato adottato in un orfanotrofio vietnamita e quindi ha speso quasi tutta la sua vita in Germania, affrontando una infanzia non comune dopo il divorzio dei genitori e lavorando nell’esercito, dove è stato anche medico. A 19 anni si è unito alla Fdp, partito storicamente molto avanzato sui diritti civili e liberale in economia, nel 2003 è diventato ministro dell’Economia della Bassa Sassonia dopo essere stato eletto nelle consultazioni di quella regione (incarichi nei laender in uno stato federale quale la Germania sono spesso importanti test per incarichi di governo). Oggi è Ministro della Salute ed anche la scelta di una persona in età lavorativa e non necessariamente nell’età della pensione per un incarico di governo è un fatto largamente diffuso in Europa, non solo nel Nord ma ad esempio pure in Spagna.

Aldo Ciummo

La Svezia è il paese che fa di più per aiutare il Terzo Mondo

Una immagine urbana della Svezia, l'azione di governo a favore del Sud del Mondo rispecchia attitudini inclusive tipiche delle culture di tutta la fascia nord della UE, moltissime iniziative a favore dei paesi sottosviluppati si registrano anche grazie alle società danesi, norvegesi ed olandesi.

Una immagine urbana della Svezia, l'azione di governo a favore del Sud del Mondo rispecchia attitudini inclusive tipiche delle culture di tutta la fascia nord europea, moltissime iniziative a favore dei paesi sottosviluppati si registrano anche grazie alle società danesi, norvegesi ed olandesi.

Il Centro per lo Sviluppo Globale di Washington ha stilato una classifica comprendente investimenti, attenzione per l’ambiente dei paesi sostenuti e misure rivolte all’accoglienza

 

 

 

 

La Svezia dimostra una attenzione maggiore nei  confronti dei problemi derivati dal sottosviluppo, se confrontata con la maggior parte degli altri paesi,  fatta eccezione per alcuni, come Danimarca e Norvegia, che ne condividono in gran parte le politiche di solidarietà.

 La classifica dell’impegno per lo sviluppo stilata dal Centro per lo Sviluppo Globale (CDG) di Washington mette la Svezia in cima alla classifica della cooperazione, perchè il paese europeo ha sviluppato pochi progetti sì, ma efficienti e mirati, ed ha aumentano le richieste accolte di asilo dai paesi più poveri, da 24.000 a 36.000 quest’anno.  Così ha spiegato David Roodman, che fa parte del Think Thank di Washington D.C. Anche l’anno scorso comunque la Svezia figurava tra i primissimi (seconda).

Lo studio mette a paragone 22 paesi sviluppati. Il rapporto non fa riferimento soltanto all’aiuto che viene fornito, ma anche al modo in cui vengono portati avanti commercio, investimenti, migrazioni, ambiente, sicurezza e tecnologia. Quest’anno la Svezia è al primo posto con un indice 7,0, seguono la Danimarca con 6,7 e a pari merito Norvegia ed Olanda con 6,6. L’aiuto che la Svezia destina ai paesi in difficoltà è il più alto in quanto a percentuale del suo prodotto e non viene portato avanti soltanto attraverso beni e servizi prodotti in Svezia. Inoltre, le politiche di immigrazione del paese ne fanno uno dei migliori punti di riferimento per i rifugiati, in particolare se si considerano le dimensioni demografiche della società di accoglienza.

Le modalità di gestione del commercio e  protezione dell’ambiente completano il quadro, dando un incoraggiante panorama dell’Europa come insieme che si confronta con le sfide dell’integrazione e della cooperazione, sotto la Presidenza del paese scandinavo in questo semestre cruciale per molti degli orientamenti istituzionali del futuro prossimo.

Aldo Ciummo 

 

La politica estera della UE risponderà ai cittadini del continente?

 

Uno dei dibattiti maggiori cui assisteremo nei prossimi anni è quello su chi dovrà decidere con quale faccia si presenteranno nel mondo tutti i cittadini di un'Europa in crescita (oggi 27, un domani 28 con la Croazia, 29 con l'Islanda e poi chissà)

Uno dei dibattiti maggiori cui assisteremo nei prossimi anni è quello su chi dovrà decidere con quale faccia si presenteranno nel mondo tutti i cittadini di un'Europa in crescita (oggi 27, un domani 28 con la Croazia, 29 con l'Islanda e poi chissà)

Il Parlamento Europeo ieri ha chiesto di essere coinvolto pienamente nello sviluppo delle relazioni esterne della comunità, una domanda che apre un dibattito cruciale nella direzione che la democrazia europea imboccherà nei prossimi decenni

 

di    Aldo Ciummo

 

I deputati dell’europarlamento ieri hanno approvato con 424 voti favorevoli, 94 contrari e 30 astensioni la relazione di Elmar Brok (PPE,DE) sul Servizio Europeo di Azione Esterna (SEAE), che assisterà l’Alto Rappresentante della UE per gli Affari Esterni. I deputati vogliono essenzialmente esercitare il loro controllo sugli aspetti riguardanti il bilancio, ma con ciò anche affermare il controllo dell’organo elettivo sulla gestione della politica estera.

L’Alto Rappresentante per la politica estera, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sarà qualche cosa di più di quello che è attualmente, sparirà la duplicazione che oggi vede le relazioni esterne dell’Unione curate anche dall’apposito commissario. Il ruolo del Rappresentante sarà di fatto quello di un ministro degli Esteri della Comunità, capace di competere in visibilità e prestigio con il Presidente di turno. Però la figura del politico incaricato di sostenere l’Europa nel mondo si inscriverà nella tradizione del Consiglio dell’Unione Europea, quella cioè di affidare le questioni ai ministri dei singoli stati, riuniti nei rispettivi settori in sede europea, una tradizione che ha privilegiato il metodo intergovernativo, il peso degli stati e degli accordi che raggiungono tra loro, rispetto al ruolo dell’Europa come insieme e del suo rapporto democratico, ancora labile, con la popolazione.

Non a caso, per nominare il ministro degli Esteri dell’Unione Europea (è ciò di cui si tratta in pratica, il primo vero ministro degli Esteri della UE)si fanno i nomi di politici che hanno ricoperto questa carica o compiti di governo nei rispettivi paesi, di solito i maggiori per importanza. Quello che chiede il Parlamento Europeo, protagonista di una competizione decennale con i poteri non elettivi e intergovernativi, è di sviluppare, sulla base del ruolo di controllo dell’assemblea eletta dai cittadini europei, una politica estera che risponda all’elettorato indipendentemente dalla sua appartenenza nazionale. L’Europa è stata prima un accordo tra stati, poi una comunità economica interdipendente, adesso vuole essere una comunità politica, ma per fare questo c’è bisogno della democrazia, della partecipazione.

Il Parlamento ha chiesto anche che le delegazioni della Commissione nei paesi terzi vengano unificate, per formare ambasciate dell’Unione, diretti da funzionari del Servizio Europeo di Azione Esterna o SEAE, che risponderebbe all’Alto Rappresentante della UE. Il personale dovrebbe assumere gradualmente funzioni di assistenza consolare e diplomatica verso i cittadini di qualsiasi paese della UE. Un vero progetto di costruzione dello stato, che ricorda per alcuni versi la nostra storia nazionale post-risorgimentale. Un’altra proposta è l’istituzione di una scuola europea di diplomazia, che formi coloro che porteranno avanti le relazioni esterne.

L’organizzazione del SEAE è qualcosa che lascerà il segno, sul volto che la UE assumerà di fronte alle altre realtà del pianeta: il suo funzionamento sarà deciso dal Consiglio dell’Unione Europea, su proposta dell’Alto Rappresentante e dopo una consultazione col parlamento e l’approvazione della Commissione. Il Parlamento Europeo, nel suo complesso, ritiene che il Servizio debba essere integrato nella struttura amministrativa della Commissione e che per rafforzare la coerenza dell’azione esterna dell’Unione le funzioni riguardanti le relazioni esterne dovrebbero essere immediatamente trasferite al SEAE.

Non ci si può illudere sulla rapidità di processi che richiederanno anni e anni, in particolare per quanto riguarda la concreta possibilità di un accordo chiaro e duraturo che bilanci il peso dei Governi, della Commissione e del Parlamento Europeo nel definire le linee guida e la forma organizzativa della politica estera, perchè questa si avvicini sempre di più ad una azione europea sottoposta al controllo democratico e ad una valutazione trasparente da parte dei cittadini degli stati che vanno ad integrarsi nella comunità.

Strasburgo: “il muro di silenzio intorno alla Russia va rotto”

Mosca capitale della Russia, gli eventi storici qui condizioneranno tutto il futuro anche economico dell'Europa Unita, che intrattiene con la Federazione Russa rapporti vitali

Mosca capitale della Russia, gli eventi storici qui condizioneranno tutto il futuro anche economico dell'Europa Unita, che intrattiene con la Federazione Russa rapporti vitali

L’organizzazione non governativa russa “Memorial” ha vinto il Premio Sacharov 2009 dedicato a chi si batte per la democrazia, il riconoscimento verrà assegnato il 16 dicembre 2009.

 

 

 

 

 

 

Un riconoscimento ed un segnale di presenza da parte della nostra Europa verso tutti coloro che in Russia lottano per la difesa dei diritti e delle libertà e contro la restaurazione strisciante dello Stato che può tutto verso gli individui: è il premio europeo Sacharov 2009, attribuito al gruppo russo Memorial,  rappresentatoda Oleg Orlov, Sergei Kovalev e Lyudmila Alexeva, il presidente del Parlamento Europeo Jerzy Buzek ha annunciato questa mattina la decisione, la consegna avverrà a Strasburgo il 16 dicembre.

Buzek ha ricordato di venire da Solidarnosc, uno dei movimenti che ha liberato la Polonia da uno dei più duri regimi dell’Est europeo, un richiamo che merita di essere raccolto da una Unione Europea che, verso il grande vicino storico ma anche verso il Kurdistan turco, la Palestina, il Mediterraneo, l’Iran e tutte le aree dove i diritti sono compressi (e spesso con essi la vita umana), ha dei doveri di iniziativa democratica. Il mondo è profondamente cambiato e sarebbe un tragico ritardo culturale negare agli attivisti russi l’aiuto da cui dipende il futuro non solo della Ex Urss ma anche dell’Europa, che dalle sue politiche è strategicamente condizionata.

Il centralismo dell’ex Urss, che riprende in parte quello sovietico, non è il contraltare di un supposto “impero” occidentale sviluppato, peraltro a sua volta in rapido mutamento, un cambiamento che ne favorisce politiche sempre meno schematiche. Coloro che vivono l’Europa e gli Stati Uniti hanno la facoltà di portare avanti azioni e movimenti politici anche di rottura e di completa alternativa (anche perchè qui tali azioni non si concludono se non in rarissimi casi con la morte violenta di chi le promuove), qualsiasi iniziativa democratica non può avere come presupposto la negazione del supporto a chi si batte contro regimi autocratici, oppure a democrazia fortemente controllata (quest’ultimo è il caso della Federazione Russa).

A gestire sistemi militarizzati di produzione o monopoli statali inattaccabili non sono lavoratori, nei paesi sottosviluppati. Nello stesso tempo, soltanto una piccola parte dei lavoratori e delle fasce di popolazione in difficoltà in occidente sono operai salariati: gli altri sono immigrati, precari, studenti, professionisti e anche in massiccia parte pensionati, microimprenditori e abitanti autoctoni degli stati nazionali d’Europa.

Nella stragrande maggioranza dei paesi della Unione Europea la sinistra ha intrapreso lo sforzo di rappresentare le persone staccandosi da schemi risalenti a prima della caduta del muro di Berlino, in due terzi dell’Europa i partiti ecologisti e radicali, liberaldemocratici di sinistra e movimenti nati dalla contestazione no global non difendono i vecchi regimi che hanno sfruttato i lavoratori e compresso le libertà. Le nuove sinistre si propongono di dialogare con vaste fasce dell’elettorato, caratteristica che, unita ad un’attidudine all’ apertura all’esterno, ai gruppi sociali, permette loro di portare avanti iniziative sostanziali (i verdi hanno più del dieci per cento in Germania, i movimentisti più del dodici per cento in Portogallo e queste situazioni si verificano pressochè ovunque tranne che in Italia, Spagna e Grecia, ma limitatamente agli ultimi due casi il principale partito di opposizione adotta una agenda politica progressista e non teme di difenderla, circostanza che lo ha portato al governo).

Il dinamismo della sinistra a livello continentale è dovuto chiaramente anche a motivi storici. La sinistra tedesca, anche movimentista ed alternativa, ha dovuto sostenere come prima cosa, nella parte orientale del paese, una dura lotta contro il regime comunista filosovietico, lotta dalla quale provengono molti dei suoi dirigenti, almeno nel caso dei Verdi. La necessità di mantenere rapporti costruttivi con i vicini ha portato le socialdemocrazie nordiche ad un’effettivo interesse per le condizioni di vita dei suoi lavoratori, unito alla difesa dei diritti individuali che oltre i confini erano negati. In tutti i paesi dell’Est i politici non possono ignorare il valore della libertà accanto a quello dell’uguaglianza, anche esso negato nei regimi dell’Est nel passato. Quanto al Regno Unito ed ai paesi legati alla sua tradizione, i fortissimi movimenti dei lavoratori si sono sempre tenuti alla larga da chi faceva il lavoro di parlare del lavoro e contemporaneamente reprimeva sistematicamente i lavoratori, come è successo a Praga, Budapest, Danzica in decenni diversi, fino alla vigilia del crollo del muro. Per questo l’UK era un modello di partecipazione e del servizio pubblico e per molti versi lo è tuttora, anche dopo la ristrutturazione neoliberista degli anni ’80, come pure lo è per la “laicità” ideologica dei movimenti di sinistra e per  i diritti.

Ma torniamo al riconoscimento per la democrazia attribuito all’organizzazione “Memorial”, da Strasburgo, una delle tappe che offre spunti di approfondimento anche alle tradizioni di opposizione cresciute in situazioni tutelate in Europa, dove era presente la protezione delle forze di opposizione maggiori ma in totale assenza del contatto con la durezza del socialismo reale, come Italia e Francia. I premiati dall’Europa per il contrasto alle misure liberticide nell’ex Urss sono:

Oleg Orlov, attuale direttore di Memorial, condannato il 6 ottobre da un tribunale di Mosca a risarcire il presidente ceceno Ramzan Kadyrov per diffamazione ed obbligato a ritirare le sue dichiarazioni in cui accusava Kadyrov di essere responsabile dell’omicidio dell’attivista di Memorial Natalia Estemirova. Il 23 novembre 2007  è stato rapito in Inguscezia e minacciato di morte, poi rilasciato.

Sergei Kovalev, fondatore della prima associazione dei diritti umani in Russia nel 1969, il “Gruppo di iniziativa per la Difesa dei Diritti Umani nell’Urss” è anche fra i creatori di Memorial. Kovalev ha sempre denunciato le tedenze autoritarie  dei governi di Boris Eltsin e Vladimir Putin. Nel 1996 ha dato le dimissioni dalla presidenza della commissione per  i diritti umani istituita da Eltsin per protesta. Nel 2002 ha istituito una commissione d’inchiesta per investigare sulle bombe esplose in vari appartamenti a Mosca nel 1999. I lavori della Commissione si sono interrotti a seguito dell’ assassinio, l’avvelenamento e la persecuzione dei suoi membri.

Lyudmila Mikhailovna Alexeyeva, ha fondato insieme ad Andrei Sacharov ed altri il Gruppo “Mosca-Helsinki” che doveva monitorare l’osservanza, da parte dell’Urss, degli accordi di Helsinki nel 1975 (che stabilivano standard minimi di legalità che avrebbero dovuto essere rispettati anche nell’Europa orientale). Alexeyeva milita a favore dei diritti umani fin dagli anni ’60. A quei tempi protestava contro il regime chiedendo processi giusti per i dissidenti e mass media obiettivi. E’ stata per questo espulsa dal Partito Comunista e allontanata dal suo lavoro di editrice per una rivista scientifica. Nel periodo dopo la caduta del muro di Berlino ha criticato spesso il Cremlino, accusando il governo di incoraggiare gli estremisti con le sue politiche nazionaliste, dalle deportazioni di massa dei georgiani nel 2006 ai raid della polizia contro gli stranieri nelle strade di Mosca, fino alla condotta dei russi in Inguscezia.

Nei paesi occidentali europei come l’Italia e la Francia, dove il Partito Comunista era più forte ed occupava davvero uno spazio sociale, quel partito era anche una comunità con una cultura, e ad esempio in Italia è stato un fondamentale argine a rischi reazionari, uno strumento potente per l’emancipazione dei lavoratori che creavano la ricchezza del paese e un baluardo contro la malavita nel Sud dell’Italia. In un’epoca di assenza della sinistra e delle istanze che storicamente essa porta avanti, l’epoca nella quale invece più ve ne sarebbe bisogno, quella comunità manca.

Ma quella formula di autodifesa dei lavoratori conteneva anche un loro ingabbiamento e il condizionamento dell’intero campo della sinistra e dei movimenti per l’uguaglianza che si esprimeva tragicamente nell’appoggio incondizionato a schemi mentali e sistemi politici molto cinici: Indro Montanelli, che era un grande testimone, liberale le cui idee erano in gran parte discutibili ma il suo sguardo sulle cose era onesto, ricordava di aver ascoltato gli slogan dei deputati comunisti italiani alla radio mentre seguiva in Ungheria i fatti del ’56 (“viva l’armata rossa!”) e mentre in Ungheria l’esercito sovietico uccideva nelle cantine operai e studenti. Se la sinistra, di cui si avverte un forte bisogno in Europa, ritornerà forte, starà al senso critico e alla volontà di partecipazione diretta delle fasce sociali che la ricostruiranno assicurare una onestà intellettuale maggiore ed una minore legnosità.

Aldo Ciummo

Il Parlamento Europeo: “c’è ancora molto da fare per cancellare la pena di morte nel pianeta”

Il Presidente del Parlamento Europeo Jerzy Buzek

Il Presidente del Parlamento Europeo Jerzy Buzek

Lo ha detto il Presidente dell’assemblea elettiva della comunità, Jerzy Buzek, intervenendo lunedì

Nella seduta del Parlamento Europeo che si è svolta lunedì il Presidente dell’assemblea, Jerzy Buzek, è intervenuto sull’impegno europeo per l’abolizione della pena di morte nei paesi, nessuno dei quali Ue, dove ancora viene applicata. Il discorso si è soffermato in modo particolare sulla importanza che la tutela dei diritti riveste nell’area intorno all’Unione Europea, laddove la Comunità fa sentire maggiormente l’influenza della propria tradizione giuridica.

Nell’Europa, anche al di fuori della comunità, tale pratica resta in vigore soltanto in Bielorussia. L’attenzione espressa nei riguardi di un paese vicino riflette anche la posizione del paese da cui Jerzy Buzek proviene, la Polonia. Nel firmare l’adesione al trattato di Lisbona, anche il presidente della Repubblica Lech Kaczynski infatti aveva ricordato l’auspicio del suo governo di contribuire al rafforzamento dei legami con altri paesi dell’est, anche appartenenti all’area della Ex Unione Sovietica. Quindi si moltiplicano gli sforzi per avvicinare gli stati al modello europeo anche per favorirne la futura integrazione.

Lech Kaczynski, quando ha firmato il Trattato di Lisbona in seguito al referendum irlandese questo ottobre, ha aggiunto che l’Europa, che ha chiamato un esperimento di successo, per restare tale non dovrebbe chiudere le porte nè agli stati dell’area balcanica nè a paesi come la Georgia. Nel suo intervento alla rappresentanza romana dell’assemblea elettiva della Ue a Roma questo settembre, il presidente del Parlamento Europeo Jerzy Buzek, aveva introdotto gli stessi concetti.

Il discorso di Buzek si inscrive in una tendenza della politica europea come costruzione graduale di spazio culturale e giuridico oltre i confini attuali degli aderenti ai Trattati che costituiscono la realtà geopolitica UE. Questa tradizione di graduale cooperazione non appartiene alla sinistra ma al partito cui Buzek appartiene, il PPE, che fu alla base del progetto europeo con apporti azionisti, liberali e socialdemocratici. All’epoca della creazione europea infatti la divisione in blocchi impediva ai partiti comunisti e fino agli anni settanta anche a quelli socialisti di sostenere pienamente i meccanismi comunitari.

Quanto ai contenuti di questa politica però, nel tempo il Partito Popolare Europeo li ha mutati in direzione di una posizione di destra, laddove negli ultimi decenni (quelli della crescita di importanza del Parlamento tra le altre istituzioni continentali) la sinistra socialista, ambientalista e movimentista ha portato avanti la maggior parte delle battaglie incentrate sulla promozione dei diritti e su di una visione partecipata della gestione degli affari globali. Questa crescita dell’iniziativa socialista è stata accompagnata frequentemente da un apporto liberale ed è stata resa possibile anche dalla caduta della contrapposizione est-ovest che ha permesso ai progressisti, almeno nella maggior parte dei paesi europei, di affrontare i cambiamenti e i problemi che ne derivavano in modo meno schematico rispetto al passato, ma ha anche portato ad uno sfaldamento che attende ancora una ricomposizione nella forma di progetto politico coerente.

Aldo Ciummo