Il Parlamento Europeo ha chiesto alla Commissione di snellire l’accesso ai finanziamenti e di renderlo più comprensibile agli autori dei progetti
Aldo Ciummo/SG
Le regioni che compongono l’Unione Europea si trovano ad affrontare problemi simili e a lavorare per obiettivi che sono complementari tra di loro. Alcune mete sono più importanti di altre: la ricerca, l’elemento con cui un’area economica come la nostra può vedersela con i “giganti” consolidati ed emergenti del mondo, la tutela dell’ambiente che ne è uno dei risultati più auspicabili, lo sviluppo urbano integrato che ne rappresenta la messa in pratica tra la popolazione, la creazione di lavoro qualitativamente valido e l’apprendimento permanente posto a premessa di tale obiettivo.
Ma basta calare fondi dall’alto per ottenere i cambiamenti, basta averne bisogno per accedere ai finanziamenti? Oggi, 24 marzo 2009, il Parlamento Europeo ha approvato una relazione sulla presenza di molti ostacoli che frenano una effettiva partecipazione dei territori all’implementazione di progetti di sviluppo. Con un documento approvato con 585 voti favorevoli, 35 contrari e 42 astensioni, il PE ha chiesto alla Commissione di impostare criteri specifici ed a lungo termine dei progetti cofinanziati dai Fondi Strutturali dell’Unione Europea, un’altra richiesta è armonizzare le norme in materia di appalti pubblici.
Un passaggio di particolare interesse è quello dedicato allo scambio di informazioni tra i beneficiari, perchè è anche la parte nella quale il Parlamento Europeo sollecita la creazione di un meccanismo di condivisione delle esperienze tra i soggetti che prendono parte a vario titolo a quella che spesso viene ridotta a una vicenda di finanziamenti, ma che poi nelle finalità è la politica di coesione che mira a fare del continente quello che quest’ultimo ha spesso provato a fare di sè stesso e cioè un paese unico. Nella pratica quello che il PE ha immaginato è una rete delle regioni ed un sito web dove tutte le informazioni sui progetti siano disponibili in tutte le lingue dell’Unione.
Il problema infatti è che le regioni europee sono 268, un mosaico nel quale la ricchezza culturale si perde in incertezza normativa quando i potenziali beneficiari dei Fondi strutturali europei si trovano ad un incrocio dove gli ostacoli all’accesso effettivo agli aiuti ci sono proprio tutti: tanti regolamenti, spesso oscuri, frequenti modifiche dei criteri comunitari, poca chiarezza nelle decisioni, ritardi nei pagamenti. In più, bisogna passare per i diversi livelli amministrativi nazionali, regionali, locali, i modelli di amministrazione regionale naturalmente non sono tutti uguali e i meccanismi di coordinamento interregionali sono limitati, così come talvolta la cooperazione tra stato, regione, province, eccetera.
Il Parlamento Europeo ha rilevato quindi anche la necessità di semplificare le procedure per l’attuazione dei progetti, e dei programmi nel quadro dei fondi strutturali, soprattutto nei sistemi di gestione e di controllo. Si richiede, in ultimo, di assicurare più anticipi ai beneficiari, facilitare l’assistenza tecnica e alleggerire gli oneri amministrativi ed accelerare invece l’iter dei progetti. Lo scopo dell’iniziativa parlamentare promossa da Constanze Krehl è infatti essenzialmente quello di tenere in maggiore considerazione il potenziale innovativo dei progetti e l’uso efficace delle risorse e quanto l’impatto positivo di un intervento sull’occupazione e sul dinamismo delle imprese sia trasferibile ad altre regioni d’Europa o comunque influente sulla società dell’Unione nel suo complesso.
Aldo Ciummo/SG
Filed under: Politiche Comunitarie | Tagged: Aldo Ciummo, delibere Parlamento Europeo, fondi europei, fondi per il territorio, Fondi strutturali europei, sviluppo urbano, tutela dell'ambiente, Unione Europea | Commenti disabilitati su POLITICHE COMUNITARIE|Perchè si chiamino Fondi Europei i territori debbono potervi partecipare