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L’OPINIONE|Il branco e la folla

Per la prima volta ho sentito la necessità di pubblicare una nota su Facebook, colto da profondo disgusto per quello che ho letto nel gruppo “STUPRO A GUIDONIA: SVEGLIAMOCI!!!”

Giuseppe Parente

Se non vi è ancora capitato, date un’occhiata ai post, dopodiché capirete il perché di un disagio che mi aveva portato a pubblicare un messaggio apparentemente provocatorio e partigiano: “Giuseppe ha paura dei guidoniani piuttosto che dei romeni…”

Gli spunti di riflessione che presenterò partono da istanze di carattere umano e civile, pertanto mi auguro che non vengano percepiti come “ideologici”. Facendo una rapida indagine sul web potrete rendervi conto, come ho fatto io, del retroterra pseudo-politico degli animatori del gruppo in questione, che hanno colto al balzo un tragico evento per guadagnare visibilità, per fomentare gli animi in un contesto già particolarmente teso e cavalcare l’emotività di una comunità sotto shock. Pare proprio, purtroppo, che ci stiano riuscendo.

La violenza sessuale sulle donne è un fatto ripugnante in sé, che non può trovare attenuanti o aggravanti di nessun tipo, figuriamoci nel fattore razziale. Dirò delle cose che a qualcuno possono suonare scontate, ma mi piace ricordare che spesso le cose scontate, in quanto tali, non sono ritenute oggetto degno di riflessione.

Purtroppo abusi sessuali e violenze sono all’ordine del giorno nel nostro Paese, avvengono su donne e su minori, anche e soprattutto tra le mura domestiche. Un dramma che si consuma quotidianamente nell’indifferenza quasi generale. Dove erano prima queste persone che ora chiedono giustizia fai da te, ovvero vendetta, con la bava alla bocca? E dove saranno al prossimo stupro autoctono, dopo che il riflusso emotivo li avrà risucchiati nella loro mediocre indifferenza? Probabilmente non c’erano e non ci saranno, perché si tratta di persone interessate a trovare legittimazione per dare sfogo ai loro atteggiamenti più bassi, piuttosto che a difendere la dignità calpestata delle donne.
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COMUNICAZIONI|Un saluto a Claudio Marta

Una persona che amava stare con i suoi studenti, in classe e anche al bar.

Simone Di Stefano/Skapegoat

A volte è meglio non aprire la mail se quel che contiene il messaggio da parte di un’amica è la notizia della scomparsa di una persona cara. Il professor Claudio Marta non era un parente e neanche un amico, ma per il sottoscritto ha rappresentato una persona piena di bravura e appassionata in quel che raccontava e cercava di spiegare ai suoi allievi. Il mio ricordo va soprattutto al ciclo di lezioni che il professore ha tenuto presso la scuola di giornalismo della Fondazione “Lelio Basso”, in cui si è rivelato oltremisura per la umana persona quale era, ponendosi in quello spazio che va tra gli allievi e il maestro, quella zona liminale che di rado è assunta da chi ha il potere della cattedra dalla sua parte. Tanto vicino a noi che al bar si lasciavano da una parte Levi-Strauss e Malinowski, per parlare il gergo popolare pallonaro. Lui stesso ammise che parlare di Roma e Lazio durante una pausa non vale meno che parlare di Levi-Bruhl, «anche il calcio è antropologia».

Il suo interesse spropositato per la cultura dei rom ha fatto cessare in me tanti di quei luoghi comuni sui “zingari” («Non si chiamano zingari – diceva – ma rom o sinti»), che di questo non cesserò mai di essergliene grato. Tutt’oggi se penso a un rom, quando leggo sui rom, quando litigo per i rom (e la loro libertà) prima vedo la faccia del prof. Marta e poi focalizzo cosa ho di fronte. Potrebbe sembrare un memoriale esagerato, quasi un elogio, e se fosse così è perché evidentemente se lo merita. L’unico dispiacere che ho è di non essere riuscito a pubblicare una sua intervista, che lui faceva con meticolosità, tanta quanta ce ne metteva per rileggere puntigliosamente il testo redatto e correggere qualche imperfezione che del giornalista, profano in materia, può essere tipica.

Tra le sue esperienze, oltre ad aver insegnato all’Università Orientale di Napoli, un viaggio da accompagnatore dell’esodo di una comunità di rom dall’Italia in Svezia. Dopo aver seguito l’evolversi del processo di integrazione di questa comunità, il prof. Marta ne ha tratto un libro di notevole interesse (“Relazioni interetniche”, ed. Guida), in cui è raccontata la sua esperienza e tante altre storie di integrazione in chiave antropologica. Da Skapegoat (e da tutti gli studenti della Scuola di giornalismo) un saluto grande a una grande persona e le scuse per la non tempestività nel dare la notizia, purtoppo appresa solo di recente.

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Simone Di Stefano/Skapegoat