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AFRICA|L’ombra di Al-Qaeda sulla pace in Somalia

Colpite la sede Onu e l’ambasciata etipope, il palazzo presidenziale e la polizia. Venticinque morti e decine di feriti tra i civili. La deplorazione delle Nazioni Unite

di Simone Di Stefano/SG

Hanno scelto con cura gli obiettivi da colpire ed hanno agito, si può dire indisturbati, colpendo la sede dell’Onu, l’ambasciata etiopica, il palazzo presidenziale e la polizia locale. Diverse esplosioni che si  sono verificate quasi in contemporanea, attorno alle nove di ieri mattina (le sette italiane) a Hargeisa, capitale del Somaliland, e Bosaso, principale cittdel Puntland e feudo di origine del presidente somalo Abdullahi Yusuf.

In Somalia ed in particolare Puntland e Somaliland, si vivono dunque giorni di angoscia anche se forse quelli non sono mai finiti. Queste due regioni, autonome da oltre un decennio, sono la meta dichiarata dei fondamentalisti di allargare il raggio d’azione oltre i confini strettamente somali. Guerriglieri legati ad Al-Qaeda sembrerebbe, almeno stando a ciò che ha riferito ieri l’assistente del segretario di Stato Usa per l’Africa, Jendayi Frazer, anche perché la tecnica di attacco avrebbe tutte le caratteristiche di quella che ha avuto la sua «fortuna» in Iraq, dove proprio Al-Qaeda aveva estesa la sua influenza.

Kamikaze, pronti a sacrificare la propria vita in cambio della «salvezza» promessa, i cui obiettivi evidentemente sono coloro che hanno invaso il territorio somalo con l’intento di mettere pace, vale a dire le Nazioni Unite e l’intera comunità internazionale operante in terra somala. A Perch oggi si scava tra le macerie e si rimuovono i detriti causati dalle esplosioni. Autobombe che si sono infrante contro le mura, i corpi di guardia, dei luoghi presi di mira. A Bosaso sono morti sei agenti, ma in totale il bilancio ufficiale dei morti nei vari attacchi­ è di 25 vittime e decine di feriti. Dagli ospedali parlano addirittura del doppio, tra cui ci sarebbero decine di civili.

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INTERNAZIONALE|Il governo irlandese vacilla sui tagli alla scuola

Il partito di maggioranza, il Fianna Fail, ha isolato e perduto due parlamentari a causa dell’osteggiato progetto

di Aldo Ciummo

Paese che vai, tagli che trovi, ma sembra che di fronte alla crisi economica globale il rimedio subito presente alla mente dei governanti sia comunque uno: risparmiare sulla Sanità e sulla Scuola. A Dublino nelle scorse settimane la maggioranza in carica ha quasi fatto il botto sul primo capitolo, con una proposta di ridurre le garanzie sanitarie per gli anziani capace di far rivoltare mezzo partito di governo, cosi’ il Taoiseach (qui il termine sta a significare più o meno Primo Ministro, ma non ne ha proprio i poteri come nel Regno Unito) ha fatto marcia indietro sul tema Sanità.

Adesso sono i tagli all’Istruzione che stanno seminando una protesta meno rumorosa che altrove ma molto diffusa e tenace, anche perché stiamo parlando di un paese dove la metà della popolazione è giovane e quelli sotto i 21 anni, già da soli, sono quasi un terzo degli abitanti, mentre buona parte degli altri porta ogni giorno uno o più bambini all’asilo o a scuola. Joe Behan e Finian McGrath, uno del Fianna Fail e l’altro indipendente, ma organico al partito di maggioranza, si sono opposti ai tagli e sono stati rimossi dalle Commissioni di cui erano incaricati (rispettivamente Giustizia ed Educazione) e rimpiazzati da politici maggiormente legati alle direttive del Taoiseach, Brian Cowen.

Intanto, la Teachers Union of Ireland e The Children Rights Alliance, che raccoglie una ottantina di associazioni, hanno elaborato una stima che prevede una crescita delle spese scolastiche di circa 2000 euro l’anno prossimo, per una famiglia tipo con quattro ragazzi e ragazzini in vari livelli dell’istruzione. La stima include l’aumento delle spese di iscrizione, delle tasse universitarie e quelle derivanti dalla riduzione di servizi, che ricadrebbero quindi sui genitori e sugli studenti, per quelli che vanno all’università.

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INTERNAZIONALE|Tensioni su Pio XII, la deriva del revisionismo

In Israele continua la polemica sulla beatificazione di Papa Pacelli. Risponde il Vaticano: «sono affari interni alla Chiesa», mentre Benedetto XVI non andrà in Israele finché non verrà rimossa la didascalia di Papa Pio XII al museo Vad Yashem sull’olocausto

di Simone Di Stefano/SG

Il dibattito attorno al Medio Oriente durante questi giorni ruota molto attorno alla crisi di governo in Israele. La leader di Kadima, Tzipi Livni, non è riuscita a unire una forza di maggioranza attorno a se e quindi si andrà alle elezioni anticipate. C’è tuttavia un’altra questione che in Italia è stata affrontata marginalmente, ma che meriterebbe maggiore approfondimento per le implicazioni internazionali. Si tratta del caso diplomatico che si è venuto a creare la settimana scorsa attorno al viaggio in Israele rimandato dal Papa Benedetto XVI per via di una didascalia al museo dello Yad Vashem sull’Olocausto, contenete delle informazioni su Papa Pacelli ritenute «offensive» dal Vaticano.

Grosso modo sono riportate sulla scritta le seguenti parole:«Eletto nel 1939, il Papa mise da parte una lettera contro l’antisemitismo e il razzismo preparata dal suo predecessore. Anche quando i resoconti sulle stragi degli ebrei raggiunsero il Vaticano, non reagì con proteste scritte o verbali. Nel 1942, non si associò alla condanna espressa dagli Alleati per l’uccisione degli ebrei. Quando vennero deportati da Roma ad Auschwitz, Pio XII non intervenne».

La Chiesa di Roma avrebbe fatto sapere che fin quando la didascalia continua a rimanere sotto l’effige del Papa in questione, il viaggio di Joseph Ratzinger in terra santa non si farà. Una presa di posizione che ha trovato l’immediata replica del Ministro degli Affari Sociali israeliano, Isaac Herzog, che in un’intervista pubblicata di recente sul quotidiano nazionale Haaret’z, ha ribadito con forza che «durante l’Olocausto il Vaticano sapeva molto bene quello che accadeva in Europa e non vi è alcuna prova, per ora, di alcun provvedimento preso dal Papa. Il tentativo di far diventare santo Pio XII è una forma di “sfruttamento dell’oblio” rispetto a quei fatti e testimonia “una assenza di consapevolezza”. Invece di essere coerente con il verso biblico nel quale si afferma ‘Tu non permetterai che si versi il sangue del vicino’, il Papa rimase in silenzio e forse fece anche peggio».

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IN ITALIA|Padre contro la riforma Gelmini: «Non mangio più per mio figlio»

Lettera di un genitore disperato che ha iniziato uno sciopero della fame per protesta contro la “riforma” Gelmini

Mi chiamo
Marco Spitella, ho quarantasette anni, tre figli in età scolare, e sono
molto preoccupato per il loro futuro.

Sono preoccupato perchè se il
piano Tremonti-Gelmini-Aprea dovesse giungere a compimento, il loro
sarà un futuro con pochissime scelte.

Io voglio una scuola pubblica
eccellente, che formi persone eccellenti, che dia a ciascuno gli
strumenti per crescere e non solo per imparare.

Voglio una scuola che
insegni a tutti la differenza tra dovere & diritto e sottomissione &
favore.

Voglio una scuola i cui docenti siano motivati e motivanti,
una scuola che insegni che i migliori vanno avanti, una scuola per
tutti ma non per forza, in cui chi non ha il desiderio o le capacità
possa arrivare dove può e non oltre.
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IN ITALIA| Acqua in bocca – Vi abbiamo venduto l’acqua

Il capitalismo si appropria della nostra acqua. Di seguito l’articolo di Rosaria Ruffini che spiega la situazione attuale, le mosse dell’indisturbato governo Berlusconi e gli scenari futuri, plausibilmente con una possibile cessione dei beni idrici, diritti fondamentali dell’uomo, alle multinazionali private

di Rosaria Ruffini/liberacittadinanza

Il governo Berlusconi senza dire niente a nessuno ha dato il via alla privatizzazione dell’acqua pubblica


Mentre nel paese imperversano annose discussioni sul grembiulino a scuola, sul guinzaglio per il cane e sul flagello dei graffiti, il governo Berlusconi senza dire niente a nessuno ha dato il via alla privatizzazione dell’acqua pubblica. Il Parlamento ha votato l’articolo 23bis del decreto legge 112 [si tratta in realtà della legge 133/08. N.d.r.] del ministro Tremonti che afferma che la gestione dei servizi idrici deve essere sottomessa alle regole dell’economia capitalistica.

Così il governo Berlusconi ha sancito che in Italia l’acqua non sarà più un bene pubblico, ma una merce e, dunque, sarà gestita da multinazionali internazionali (le stesse che già possiedono le acque minerali). Già a Latina la Veolia (multinazionale che gestisce l’acqua locale) ha deciso di aumentare le bollette del 300% Ai consumatori che protestano, Veolia manda le sue squadre di vigilantes armatati e carabinieri per staccare i contatori.

La privatizzazione dell’acqua che sta avvenendo a livello mondiale provocherà, nei prossimi anni, milioni di morti per sete nei paesi più poveri. L’acqua è sacra in ogni paese, cultura e fede del mondo: l’uomo è fatto per il 65% di acqua, ed è questo che il governo italiano sta mettendo in vendita.

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SPORT|Sconfitta e contestata, la Roma non c’è più

Prosegue la caduta libera della Roma di Spalletti. Ieri contestazione davanti a Trigoria, con la squadra in ritiro in vista della sfida di mercoledì prossimo contro la Sampdoria

di Simone Di Stefano/SG

La Roma si ritira in casa per superare il momentaccio. «Onorate la maglia in segno di rispetto ai tifosi», ha tuonato il presidente Rosella Sensi che da domenica ha sigillato la squadra nelle segrete stanze di Trigoria con un solo diktat: uscire dalla crisi più nera della gestione Spalletti.

Ma al centro sportivo “Fulvio Bernardini” ieri non è stata certo una giornata serena. Giocatori, tecnico e società, non si è salvato nessuno dalla contestazione messa su con cori e striscioni («Io non tifo Italpetroli», «Tirate fuori le …», per citarne alcuni), da parte di una trentina di tifosi che hanno chiesto, invano, di poter parlare con uno tra Spalletti e Totti. Se ne sono andati soltanto in tarda mattinata dopo che a mobilitarsi era stata anche la Polizia, dopo alcuni lanci di uova.

La squadra ha dovuto rinunciare anche all’allenamento mattutino per tornare in campo solo nel pomeriggio. E come ogni lunedì di recente memoria nei bar della capitale si discute su cosa stia accadendo alla Roma e cosa ci si deve attendere ancora. Invertire la rotta innanzitutto e Spalletti lo ha capito, tanto che dopo il naufragio di Udine è stato lui il primo a riconoscere le proprie responsabilità e la necessità, questa è la notizia, di cambiare metodo di lavoro.

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INTERNAZIONALE|Il Nord Irlanda fa i conti con la criminalità di quartiere

Il parlamento di Stormont esaminera’ la proposta di coinvolgere le famiglie nella lotta alla violenza giovanile

di Aldo Ciummo

I genitori dei minorenni responsabili di reati potrebbero essere costretti per legge a frequentare corsi per familiari, col presupposto che la comunità dovrebbe prendersi carico della riduzione dei comportamenti antisociali che affliggono larga parte di Belfast e del Nord dell’Irlanda.

La proposta che verrà presa in esame dal parlamento autonomo di Stormont, che rappresenta l’Ulster, prevede anche sanzioni finanziarie per le famiglie dei ragazzi coinvolti in aggressioni e danneggiamenti vari. Il problema della criminalità comune, delle intimidazioni e del bullismo rende più difficili situazioni urbane che gia’ sono appesantite dal persistere del controllo settario, delle estorsioni e dell’economia illegale (spaccio, contrabbando, produzione non autorizzata di vodka e sigarette) ereditate dal conflitto e mantenute in vita dalle organizzazioni paramilitari di ambo le parti, protestante e cattolica.

Dopo l’accordo del 1998, il Good Friday Agreement (Accordo del Venerdi’ Santo), il disarmo dell’Ira nel 2005 e la formazione di un governo di coalizione tra le maggiori parti in causa nella primavera del 2007, la maggior parte dei problemi legati al conflitto “guerreggiato” sono stati ammorbiditi in maniera significativa. Persiste invece una diffusa criminalita’, dovuta sia all’annoso sottosviluppo di buona parte della popolazione che ad una cultura fortemente caratterizzata da un discutibile spirito di controllo del territorio da parte dei suoi abitanti. Chiunque conosce Belfast (escludendo il centro turistico) ha presente l’atteggiamento dei gruppi di giovani e di abitanti che stazionano ad angoli delle strade che demarcano il passaggio da un’area ad un’altra.

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L’OPINIONE|Italian censorship. Il sistema Berlusconi di affumicare l’opinione pubblica

Mentre l’Italia è sempre più terra di conquista delle multinazionali straniere, quelle che hanno il coraggio di venire a investire, prosegue la demolizione dello Stato sociale. I tagli all’istruzione diventano un nuovo terreno di scontro e il premier cerca di evitare il confronto

Simone Di Stefano/SG

Tutto bene quel che non finisce, direbbe chi non lo ha mai potuto dire in quanto morto e sepolto. Divagazione allucinatoria degna di Natural born killers, ma obbligatoria se vogliamo focalizzare lo stato attuale del nostro Stato italiano, attuale tanto quanto tanto inattuale, si perdoni il gioco di parole. Piccola rassegna stampa sui fatti di quotidianità odierni.

Francoforte, Londra, Birmingham, Dublino, Bruxelles, Barcellona e Valencia non sono le città legate alle borse europee più in calo negli ultimi otto giorni, ma le rotte annunciate a luglio dalla compagnia aerea low cost, Rayan Air. A queste si vanno ad aggiungere, ed ecco la notizia, Trapani, Bari, Brindisi, Lamezia Terme, Edimburgo, Granada, Dusseldorf, Katowice, Parigi Beauvais, Oslo e Costanza. Inoltre, entro marzo, due verranno inaugurate due nuove rotte a Bologna. Niente male, l’hub & spoke continua a conquistare territori, come una lenta invasione barbarica travestita da uccellino con ali di metallo.

E l’Alitalia? Già dimenticata? E Malpensa? Forse i nostri politicanti, dopo aver fatto credere al paese intero che la grana legata alla nostra compagnia di bandiera fosse stata risolta con i si dei sindacati e con un fallimento scongiurato in zona Cesarini, si stanno defilando dall’affaire, puntando il dito contro altre “cosucce” scomode da dover risolvere. È il caso, per esempio, del clima irrespirabile che aleggia dentro e attorno alle strutture scolastiche e universitarie italiane.

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SPORT|Jennings, fermata per la Nba: «Totti who?»

BASKET Il talento Usa della Lottomatica: «Che traffico a Roma, peggio che a Los Angeles»

I ragazzi che giocano a pallacanestro per strada sono il volto alternativo dello sport romano. Poco distante si allena la Lottomatica Roma. Uno di loro porta la maglia numero undici con su scritto «Jennings». La tua maglia è la più venduta ai negozi, lo sapevi? «No, non lo sapevo ma mi fa piacere, eccome».

Ma chi è il nuovo  americano di Roma? Talento precoce della pallacanestro a stelle e strisce, Brandon Jennings è appena approdato alla Lottomatica e ha già una voglia matta di stupire: «Mi ispiro molto ad Allen Iverson e Kobe Bryant. Amo giocare all’attacco e tenere la palla in mano. Sogno di arrivare in Nba, ma intanto penso solo a far bene qui a Roma», ostenta in uno slang quasi incomprensibile il diciannovenne gioiello della Virtus che riprova l’assalto allo scudetto e all’inaffondabile Siena.

Jennings è stato ill primo giocatore nella storia del basket americano a diventare professionista senza passare per la gavetta universitaria. «Credo in questo progetto e spero di aver tracciato una nuova strada ai giovani americani. Non è poi così lungo il salto all’Nba». Una scelta obbligata per qualche malizioso, visto che Brandon non vantava voti così eccelsi a scuola . Malignità, perché lui era già d’accordo con l’università dell’Arizona. Con Jennings c’è sempre la mamma, Alice, e il fratellino di dodici anni. Alice lo accompagna dappertutto. Agli allenamenti lei si siede in tribuna, apre il suo portatile e passa il tempo su internet o divorando film. «Per adesso – dice Jennings – studio con lei. Poi, fra un paio di anni conto di finire il college».

Roma la conosce ancora poco ma si è già «scornato» con il traffico della capitale: «Sì il traffico è peggio che a Los Angeles. Inoltre trovare parcheggio è un’impresa. Però rispetto agli Usa qui la gente è più tranquilla, pacata». Internet e videogames i suoi passatempo preferiti, oltre allo shopping, «shaappin’», come ci tiene a sottolineare. «Gucci e Louis Vuitton sono le marche che preferisco. Anche se comunque vesto spesso largo e preferisco il genere americano».

I media d’oltreoceano lo considerano la possibile prima scelta del prossimo draft: «Oh, it’s cool! Non sento la pressione, sono focalizzato solo nel giocare a basket. Il mio obiettivo resta soltanto quello di far bene con la mia squadra. Fin dalla prossima gara, sempre se gioco…». Quando parla il coach, Jasmin Repeša, l’americano è come se andasse in trance, ascolta e impara in silenzio. Ma perché proprio Roma? «Ero a un provino a Los Angeles e mi ha visto Dejan (Bodiroga, ndr). Sono stato scelto e ho accettato perché mi piace la città e credo di poter migliorare molto con questa squadra».

Giovane e ricercato. Fanno la fila i giornali di tutta Europa per accaparrarsi un’intervista. Nella sua città natale, Compton, nella contea di Los Angeles, California, le gang vivono tra il crimine e la violenza. Da qui è nato il genere gangsta rap. Negli States lo sport è vissuto da molti come l’ancora di salvezza, l’uscita d’emergenza, «ma la vita criminale non mi appartiene – precisa Jennings – perchè a salvarmi ci ha pensato la pallacanestro».

Banale forse chiedergli per chi voterà: «Obama, no way», replica secco e quasi stizzito. Meno ovvio venire a sapere che non conosce Totti. Eppure gli piace eccome il calcio: «giochiamo spesso con gli altri qui vicino. Mi diverte». Sfila Repeša, tempo scaduto. Lo rivedremo domani stasera su Sky, alle 20.55, nella sfida tra Fortitudo e Lottomatica.

Simone Di Stefano – Pubblicato su L’Unità del 17-10-2008

INTERNAZIONALE|David Armstrong, uno dei volti della diaspora nordirlandese

Prete presbiteriano, a Limavady venticinque anni fa porto’ gli auguri di Natale agli “avversari cattolici”, le minacce degli estremisti della sua parrocchia lo costrinsero all’esilio

di Aldo Ciummo

Domenica scorsa David Armstrong ha visitato l’Uster, dove era gia’ tornato anni fa ma dove per venticinque anni non ha quasi potuto farsi vedere. Nel 1983 porto’ gli auguri di Natale in una chiesa di cattolici che aveva subito un attentato: lui era un prete protestante e per alcuni dei suoi parrocchiani, a Limavady, quello era un tradimento.

Le minacce dei lealisti piu’ oltranzisti, difensori della presenza britannica nel nordest dell’isola e dell’isolamento dei nazionalisti cattolici lo costrinsero a riparare in Inghilterra con tutta la sua famiglia, lo scontro religioso d’altronde e’ sconosciuto nel resto del Regno Unito come nell’Eire, e’ un caso unico in Europa, che si e’ rifugiato a lungo nella provincia dell’Ulster, mostrando ancora i suoi strascichi, come il voto dei consiglieri unionisti protestanti della citta’ che la settimana scorsa ha ribadito che questo religioso, protestante come loro, non e’ gradito a Limavady, dove oramai potrebbe anche tornare.

Armstrong, tuttura prete protestante ma nella contea di Cork nell’Irlanda del sud, dove la stragrande maggioranza della popolazione e’ cattolica, ha recentemente dichiarato di essere stato aiutato ad affrontare l’esilio da un cardinale cattolico, Tomas O Fiaich, il quale non ha voluto che questo gesto fosse rivelato finche’ era in vita (O Fiaich e’ morto ormai da molti anni).

Il caso di David Armstrong, rimasto sempre nella propria comunita’ culturale di origine e a lungo minacciato da una parte di questa, tanto da non sentirsi in grado di tornare nella cittadina dove viveva, il supporto fornito da O Fiaich, appartenente ad un’altra comunità, sono lo specchio degli sforzi che una gran parte della società nordirlandese ha portato avanti per arrivare all’attuale processo di pace e delle difficoltà che minoranze organizzate e pregiudizi diffusi tuttora frappongono alla piena pacificazione.

L’esecutivo dell’Ulster che dovrebbe permettere ai rappresentanti delle due opposte forze maggiori di lavorare insieme è di nuovo fermo, ormai da più di tre mesi.

di Aldo Ciummo