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L’OPINIONE|Conta sì la famiglia, ma perché poi?

Tutto il clamore attorno alla figura di Sarah Palin, la vice di John McCain nella scalata verso la Casa Bianca, sarebbe inspiegabile se non si trattasse del teatrino della politica americana. Ma agli occhi dell’Europa e del mondo intero restano i problemi del colosso Usa, che confonde la famiglia con la politica

      di    Simone Di Stefano

Un commento è una firma del proprio pensiero e resta indelebile nell’aria, finché qualcuno non decide di rovistare nelle cianfrusaglie dei dimenticatoi e stuzzica la sua curiosità ponendoti di fronte al fatto compiuto. Tu pensavi questo… Ecco che allora occorrerebbe sempre andarci coi piedi di piombo prima di scrivere ciò che si crede di pensare. Certo, si può sempre tornare sui propri passi, ma le conseguenze di un ripensamento a volte possono essere fatali. Ho deciso di attaccare così, perché così mi sento più sicuro nel firmare il mio pensiero, un’appendice a un commento apparso oggi su Il Foglio, a firma di Annalena Benini.

Si parla di donne, ci si continua a entusiasmare della figura di Sarah Palin, la candidata vice di John McCain a salire alla Casa Bianca alle prossime presidenziali americane. Ancora una volta, quando si parla di politica statunitense, lo si fa con la superficialità – nel senso rudimentale del termine, non riduttivo – del pensiero senatorio che vige negli Usa, ovvero: contano più gli affari di famiglia che i programmi governativi. Che ci volete fare? Effettivamente così è, prendere o lasciare.

E quando da oltre oceano arrivano, piccate, le indiscrezioni più scottanti degli Obama, dei McCain e per ultima proprio di questa quarantenne che si dichiara una donna pitbull, mi sconvolge ancora di più il pensiero che potrebbero essere queste persone a determinare le sorti del nostro pianeta per i prossimi anni. Come se contasse di più quanti figli ha la signora Palin (e quanti amanti non ha avuto o ha deciso di non avere questa donna) rispetto ai diritti del popolo americano prima e del resto del mondo poi, ai doveri che questi aspiranti al potere avranno innanzi ai loro elettori.

Il problema sta tutto in quest’ultima frase: gli elettori. Se infatti in Europa il metalmeccanico, la centralinista, l’impiegato se ne fregano di sapere con chi va a letto il loro premier (vedi, di recente, il fallito tentativo di impeachment a Silvio Berlusconi che addirittura ne è uscito con un aumento dei consensi), anche se in Italia la tendenza si sta via via allineando con il pensiero a stelle e strisce, negli Usa non è così e a una signora basta avere una figlia minorenne incinta che subito desta gli applausi della platea bigotta, salvo perdere poi consensi se si dichiara a favore dell’uso dei preservativi, cosa che appunto distingue la Palin da McCain.

Ero in vacanza tra gli abeti e le vette del Trentino, la serenità mi pervadeva in tutta la sua essenza. La semplicità della montagna e l’immenso delle cime, il loro silenzio, rotti dal rumore sordo di quella platea impazzita raccontata dalla voce dell’inviato del Tg1. Ma poteva essere lo stesso se la convention fosse stata quella dei democratici, anzi così è stato quando Obama schierò in fila la sua bela famigliola e lui in video conferenza congolante di gioia nell’ostentare il suo giocattolino perfetto. Il problema stavolta era nel clamore che si ergeva attorno al quadretto familiare di Sarah Palin, del bimbo down di cinque mesi trastullato da una parte all’altra del palco, mentre fuori il pericolo di uragano era stato da poco scongiurato, ma non per le migliaia di haitiani meno fortunati dei loro fratelli americani.

Stavolta New Orleans era stata salvata e con lei la convention repubblicana, che poteva dirsi essere stata un gran bel successone. Sarà lo spirito calvinista, protestante, evangelista, sarà l’influenza  dei reverendi o il troppo fritto degli hot dog. Capisco la loro attenzione ma non concepisco ancora il nostro inutile attaccamento ai loro idoli.

Simone Di Stefano

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