Il professor Dario D’Ottavio, perito in diversi processi ed ex membro della Commissione antidoping
Professor D’Ottavio, cosa dobbiamo attenderci dalle prossime Olimpiadi sul fronte doping?
«A Pechino il Cio farà i soliti controlli di routine. Ma l’atleta che risulta negativo a questi controlli non è detto che sia pulito. Esistono tanti modi di “mascherare” la sostanza dopante. Tra i più noti c’è quello della sostituzione, in sede di controllo, delle urine sporche con quelle pulite che l’atleta conserva liofilizzate».
Ma le autorità non se ne accorgono?
«Dipende. All’ultimo Tour de France i commissari seguivano gli atleti fino al controllo, impossibile così barare. Questo in Italia non avviene».
Quali sono le sostanze più difficili da individuare?
«Il Cera per esempio, di cui ora si parla tanto. Il sottoscritto aveva già messo in guardia da tempo sugli effetti di questo nuovo farmaco. Si basa su una tecnica di eritropoietina coniugata in modo particolare. Inoltre ci sono diverse sostanze che, poco dopo l’assunzione, non lasciano più tracce nel sangue. È il caso del Gh, l’ormone della crescita, che sparisce dopo sole 24 ore e l’eritropoietina, dopo 48 ore».
Sono queste le sostanze da combattere alle Olimpiadi?
«È possibile, ma gli atleti non sono degli stupidi. Oggi la preparazione dopante avviene due o anche tre mesi prima dell’evento. Gli atleti giungono alla competizione puliti, ma usufruiscono dei vantaggi che scaturiscono dal doping».
Come si spiega allora la presunta positività di Riccò al Cera?
«Credo che si tratti di un incidente di percorso. Chi ha effettuato i controlli aveva lavorato nei laboratori della Roche, la casa che ha brevettato il farmaco. Conoscevano il metodo».
Quindi si potrebbe ipotizzare una vera e propria “gara” al doping, in questi mesi?
«Certo, ma ribadisco che anche quelli che risulteranno negativi sono potenzialmente dopati».
Come giudica il caso della ciclista Bastianelli?
«Penso che non volesse doparsi. Qui si tratta di pura ingenuità, quindi non sarei stato così duro nei suoi confronti. In questo caso avrei chiuso un occhio e la avrei fatta partire».
L’uso di sostanze “lecite”, come la caffeina, è ancora attuale?
«Eccome. L’utilizzo della caffeina è stato legalizzato dal Cio da circa sei anni. Ma quando un atleta si beve dieci, dodici caffè in un giorno, qualcosa non quadra».
Lei la vieterebbe?
«È quello che ho tentato di fare quando ero alla Commissione antidoping del Ministero della Sanità. Avevo il compito di definire l’elenco delle sostanze vietate. Mi chiamavano “Il Talebano”, perché mi sono sempre battuto affinché tutte le sostanze dopanti venissero proibite. Anche quelle incluse tra le “sostanze affini”».
Si spieghi meglio
«Le sostanze affini sono quelle sostanze che non risultano incluse esplicitamente tra quelle proibite, ma che comunque sono da considerarsi vietate. In Italia ci sono tra le 200 e le 250 molecole non inserite in questo elenco. Stando a ciò, Marion Jones da noi non avrebbe mai subito la squalifica. Tuttavia il fenomeno del doping tra i professionisti è solo la punta dell’iceberg. Un vero mondo si estende nel commercio di sostanze illecite nelle palestre, in ambiti del tutto amatoriali».
C’è la possibilità che i casi di doping più eclatanti ai giochi vengano coperti?
«Questo non lo so, ma prima vengono gli interessi economici, degli sponsor e poi per ultimi quelli degli atleti».
Come migliorare i controlli?
«Attraverso un monitoraggio costante. Quando i valori dell’atleta vanno oltre la media, lo si sospende dall’attività per motivi di salute. Il danno economico lo subisce ugualmente. Oppure facendogli firmare una delibera che autorizzi i controlli del sangue, come al Tour de France, ma non sempre è facile mettere l’ago in vena agli atleti».
Simone Di Stefano – Pubblicato su L’Unità del 30-07-2008
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