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IL CASO|Benedetto XVI predica dall’aereo, ma sbaglia pubblico

Di ritorno dal viaggio in Australia il bilancio del Papa. Nei telegrammi inviati ai tredici stati sorvolati, benedizioni cattoliche a capi di stato musulmani.

                Simone Di Stefano

Questo Papa non si ferma mai. Da ovest a sud, da nord a est. Peripli, piroette e peripezie per Joseph Ratzinger, al secolo Papa Benedetto “decimo sesto”, come amano chiamarlo i più eruditi e romantici di tempi passati, quando veramente essere Papa significava molto più che esser privilegiati. Accade allora che di ritorno da un viaggio all’estero, in rappresentanza del proprio paese, un capo di stato invii telegrammi agli stati sorvolati.

Ovvio, perché ogni volta che Benedetto XVI si reca in viaggio in qualità di Papa, lo fa a nome dello stato che rappresenta, in questo caso il Vaticano. Un viaggio che il Papa ha intrapreso mentre in Italia, un paesino così vicino al Vaticano, Bossi si scagliava contro l’inno di Mameli, il caso Del Turco faceva tornare l’incubo di tangentopoli, Napoli era ancora piena di rifiuti (nonostante i proclami di Silvio Berlusconi) e in Parlamento passava la legge salva Premier. Sua Santità invece se ne stava pacioso tra maori e canguri a professare la parola di Dio. Non c’è nulla di male, tanto che al Vaticano cosa mai può interessare la sorte dell’Italia? Altro stato, altra lingua, altra economia, altri interessi (quelli soprattutto). Alla stregua della Norvegia o del Congo.

Di ritorno, una volta atterrato all’aeroporto di Ciampino alle ore 22.58 di ieri sera, Benedetto XVI è stato accolto dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, e come da prassi ha inviato un telegramma al Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano: « Al rientro dal viaggio apostolico – si legge nel testo – che mi ha condotto in Australia, in particolare a Sydney, dove ho avuto la gioia di incontrare giovani provenienti da tutto il mondo, pronti a lasciarsi guidare dalla forza dello Spirito Santo per contribuire generosamente alla costruzione della civiltà dell’amore, desidero inviare a lei, signor presidente, e alla diletta nazione italiana il mio cordiale saluto invocando su tutti le benedizioni di Dio». Rieccoci. Allora non siamo stati proprio del tutto abbandonati dal Santo Padre. Allora lui ancora ci pensa. La preoccupazione che se ne fosse rimasto con i maori effettivamente aveva pervaso a molti.

Meno coinvolti, ma pieni comunque di sante benedizioni, i telegrammi partiti dall’aeropapaplano, ai tredici stati sorvolati, dall’Australia a Roma. «Abbondanti benedizioni» di una persona come le altre, agli occhi di chi le ha ricevute, piovute sulla testa di: Susilo Bambang Yudhoyono, presidente della Repubblica dell’Indonesia, non proprio famosa per la sua vena cattolica (80% di musulmani); Sellapan Rama Nathan, presidente della Repubblica di Singapore (per la maggior parte buddhisti); Mizan Zainal Abidin, capo di Stato supremo della Malaysia (per la maggior parte musulmani): Pratibha Patil, presidente della Repubblica dell’India (di cui cristiani solo il 2,3%); e poi ancora: Qaboos Bin Said Al-Said, sultano dell’Oman; lo sceicco Sheikh Khalifa Bin Zayed Al-Nahyan, presidente degli Emirati Arabi Uniti; Shaikh Hamad Ibn Isa Al-Khalifa, re del Bahrain; Abdullah Ibn Abdul Aziz Al-Saud, re dell’Arabia Saudita; Abdullah ii, sovrano del regno hascemita di Giordania; Bashar Al-Assad, presidente della Repubblica Araba Siriana; Michel Suleiman, presidente della Repubblica del Libano. Certo, sempre meglio le benedizioni che le dichiarazioni di guerra. Come d’altronde erano abituati a fare i suoi predecessori ai tempi delle crociate, o anche più recentemente.

Per concludere il Santo Padre ha inviato telegrammi anche a Cipro e Grecia, non proprio terra avvezza al Cristianesimo, visto che la prima è composta per la maggior parte da musulmani e la seconda da ortodossi. Ambiguità di un capo spirituale che si fregia del titolo di capo di stato. Uno tra i più ricchi del mondo. Predicando però la parola di Dio dalla sua Limousine, invocando l’amore e la pace per il prossimo, senza chiedersi se non sia più sensato mandare saluti democratici, anziché benedizioni a persone che non saprebbero che cosa farsene.

Stressato dal viaggio in una terra lontana come quella australiana, il Santo Padre troverà riposo e meditazione nella residenza estiva alle porte della capitale, a Castel Gandolfo. Dai canguri al vinello dei castelli, quindi, ma niente paura, vi rimarrà solo qualche giorno, fino a lunedì 28 luglio, quando la corte vaticana si trasferirà a Bressanone, dove il Pontefice riposerà per due settimane. Dall’11 agosto il Papa sarà di nuovo a Castel Gandolfo, per continuare a riposare.

Per concludere, questa Chiesa piace molto di più quando prende parte a battaglie sociali degne del ruolo di guida spirituale e carismatica che intende rivestire nella società attuale, come le difese nei confronti delle minoranze etniche e di popoli perseguitati, come i rom, i sinti, i curdi. Mostra invece tutta la sua cruda verità quando in viaggi come quello appena concluso, evidenzia indifferenza e scarso senso del sacrificio: a investire i tanti milioni di euro vaticani in fatti sociali, anziché in lussuosi viaggi in entourage.

Simone Di Stefano

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