Il caso Del Turco solleva timori circa un ritorno a tangentopoli. Tra strumentalizzazioni e prese di distanza, quello che emerge è l’ennesima dimostrazione di quanto è malato il nostro paese
di Simone Di Stefano
«La situazione è del tutto straordinaria» spiega il direttore del carcere di Sulmona Sergio Romice, e come potrebbe essere altrimenti. La settimana più lunga dell’estate Abruzzese e forse dell’anno intero, a seguito dell’incarcerazione del governatore Ottaviano Del Turco, accusato di tangenti per milioni di euro dall’imprenditore Vincenza Angelini. Un giro di denaro che probabilmente gli stessi abruzzesi non immaginavano potesse avvenire in una regione piccola, umile, basata sul lavoro e sul sacrificio.
Quello che uscirà realmente fuori da questo fandango, che ripropone a tinte meno scure ma preoccupanti lo scandalo tangenti degli anni novanta, forse lo sa soltanto il super teste Angelini, molto attendibile a detta del Giudice per le indagini preliminari, Maria Michela Di Fine, che ha anche aggiunto: «La predetta collaborazione, pur nella consapevolezza della non integralità, essendo evidentemente suscettibile di ulteriori sviluppi in correlazione al proseguimento dell’attività investigativa, certamente assume valenza non solo con riguardo al manifesto comportamento di resipiscenza ma altresì rappresenta un momento di definitiva rottura rispetto alla compagine associativa rappresentata dagli altri indagati».
Di che male dovrà morire il nostro sistema? Quanto ancora l’Italia e gli, a questo punto, indegni italiani dovranno patire per tornare ad avere rispetto in Europa e nel mondo e soprattutto a guardare in faccia un amico, parente, collega, senza per forza dover covare in corpo il sospetto che costui sia un malfattore, un delinquente, un ladro? Una domanda banale, demagogica, ma sincera, come sincera è la richiesta verso l’attuale classe politica di non strumentalizzare il caso Del Turco.
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