Tensione nel luogo dove due anni fa i romeni vennero aggrediti. Festa nei campi Rom dove la maggioranza tifa per gli Azzurri.
«Ma quale Italia-Romania noi tifiamo per la Roma». In via Candoni i gitani si dividono tra le due nazionali
Il bar c’è ancora. È l’ambiente a essere cambiato, forse come tutto il Trullo. Due anni fa il punto di non ritorno: una ventina di ragazzi italiani entrarono nell’esercizio di via Monte delle Capre e aggredirono i rumeni, abituali frequentatori. Poi diedero fuoco a tutto. Si giustificarono definendola una spedizione punitiva nata da un insieme di ingiustizie e angherie; i rumeni risposero accusando gli italiani di intollerenza. Ora gli uni sono da una parte, mentre gli altri restano quasi tutti chiusi in casa; solo in pochi azzardano la frequentazione del bar. Specialmente ieri in occasione di Italia-Romania. E chi «osa» sa bene che non deve proferire verbo: con ancora le mani sporche di calce e il cappello impolverato, si siedono fuori, lì dove partì la scazzottata dell’ottobre del 2006.
Non esultano, nonostante le occasioni favorevoli a Mutu e compagni, parlano a bassa voce e non si guardano mai negli occhi, preferiscono un sussurrio asettico. Ma bevono, e molto. Con alcuni ragazzi del posto che a mo’ di ronda passano e li guardano, mentre altri gli stanno intorno come a rimarcare l’appartenenza del territorio: il Trullo è loro, e fanno di tutto per dimostrarlo. E non sono i soli.
Poco lontano, a circa 300 metri, c’è un club, frequentatissimo, dove anche le donne sono una rarità: anche loro si sono sistemati in strada, un gesto che una volta poteva apparire come un invito alla condivisione; un invito agli avventori casuali a fermarsi e a vivere insieme un momento «nazionale». Eppure, tra un’azione di De Rossi, una parata di Buffon e il pericolo-Mutu, a turno si guardano intorno e bisbigliano: ma quello lo conosci? È dei nostri?. Anche loro sotto voce, appunto. Fino a quando l’attaccante della Fiorentina segna e qualcosa si incrina: «Rumeni di merda! Dove siete?». Urlano in tanti. Mentre i loro esultano rendendosi finalmente visibili.
Dalle case giungono urla ritmate, ma nessuno si affaccia. Dura poco: un minuto dopo Panucci realizza il pareggio e lo sfogo è tutto degli italiani del Trullo, compresi i bambini. «Per fortuna è finita 1-1 – ammette un egiziano – altrimenti chi li avrebbe sentiti». Lui fa il pizzettaio, uno dei tanti a Roma, e al Trullo ha aperto il suo piccolo esercizio di pizza d’asporto. E trasmette la partita: il canale è egiziano e ai clienti italiani, oltre a servirli, traduce le frasi dei commentatori. Tutti insieme, normalmente.
Stesso clima «egiziano» dall’altra parte di Roma, dove i rom del campo Casilino ‘900 hanno tifato tutti per l’Italia. Appuntamento alle ore 18 davanti all’ingresso del campo, dove fino a pochi minuti prima del fischio d’inizio c’erano solo qualche cronista e alcuni bambini presi dal rincorrere un pallone. «Chi gioca – chiede uno di loro, osservando i preparativi per l’istallazione del televisore – la Roma o la Lazio? Perché io tifo per la Roma».
È stata dura riuscire a istallare la tv fuori dal campo: «Non abbiamo la corrente e quindi ci siamo dovuti ingegnare con il gruppo elettrogeno», dice Nayo Adzovic, il coordinatore del campo. Gli uomini del campo prendono posto sulle sedie disposte in tre file, una piccola tribunetta multietnica. Per chi tifare? Prende la parola Ekran, uno dei veterani del campo: «Nessun dubbio, tifiamo tutti per l’Italia».
Camicia nera, scollatura e petto irsuto in bella vista, Ekran dai lunghi baffi è in Italia dal ‘68: «Bei tempi quelli – continua buttando occhiate interessate tra un’azione e l’altra del match -. Quando sono arrivato qui con la mia famiglia eravamo pochi a essere stranieri. Poi ho vissuto anche in Germania e Spagna, ma nessun paese è come il vostro. Qui c’è la libertà».
Dove affiorano le divisioni tra sostenitori dell’Italia e della Romania è invece al campo rom di via Candoni, alla Magliana. La partita se la sono vista in un container e tra l’esultanza per il gol di Mutu e subito dopo per il pareggio azzurro, alla fine un risultato che non scontenta nessuno.
Di Simone Di Stefano e Alessandro Ferrucci – Pubblicato su L’Unità del 14-06-2008
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