Liquidato dopo aver riportato l’Inter sul tetto del calcio italiano, Mancini da ieri non è più il tecnico dei nerazzurri. Al suo posto probabile l’arrivo di Josè Mourinho.
Ecco, dovremmo dire che il Calcio è così. Che è fatto di una palla che rotola. Di 22 uomini, o donne, che la rincorrono. Di fisico e muscoli. Di velocità, atletica, disciplina e tanta, tanta fortuna.
Dovremmo dire anche che nel calcio, quello genuino, giocato con una busta di succo di frutta nel cortile di scuola, o con un ammasso di stracci sulle spiagge di Copacabana, in quel calcio l’importante era giocare, divertirsi, masticare sport e poi discuterne, anche fino all’invero simile, per poi concludere che sì, effettivamente, l’importante era partecipare ma senza vittoria mancava qualcosa.
Vittoria è il termine che perseguiterà Roberto Mancini, da ieri pomeriggio non più allenatore dell’Inter. Manca l’ufficialità, ma sappiamo benissimo Massimo Moratti come fa. Quando decide una cosa, quella cosa la realizza, non c’è niente che lo potrebbe far tornare indietro. Perché Massimo Moratti ormai ha deciso: il tecnico dell’Inter per la prossima stagione non sarà Roberto Mancini.
Vittoria è il vocabolo effimero che Mancini sognerà, anche dopo aver firmato il suo ricchissimo contratto con il Chelsea, squadra del ricco magnate russo Roman Abramovich, che lo ha piazzato fra i primissimi della lista dei preferiti. E anche se non dovesse essere a Londra, il tecnico di Iesi non dovrebbe avere difficoltà nel trovare un’altra facoltosa sistemazione. Ci sono quelli del Manchester City che farebbero carte false pur di metterci lui sulla panchina dei “Citizens”.
Non basta più nemmeno vincere per avere la certezza di restare al proprio posto, deve aver pensato dopo l’incontro col patron nerazzurro. Lui che lo aveva fortemente voluto 4 anni fa per riportare in alto il nome della ex Ambrosiana. Eppure quello striscione apparso alla penultima giornata a San Siro non era proprio di buon auspicio: «Vinci e vattene». Lui ha vinto ed è riuscito nell’impresa in cui tutti i suoi predecessori avevano fallito. L’Inter sognava di vincere lo scudetto fin da quando lui ancora era uno dei più grandi fenomeni del calcio italiano ed europeo. Due anni dopo quello scudetto targato Trapattoni, Roberto Mancini da Iesi, con la sua Sampdoria si andava a giocare la Coppa dei Campioni in finale col Barcellona, perdendola per un goal di Koeman, mentre l’Inter non si accorgeva che era già entrata nella sua depressione più lunga. 17 anni senza vincere un campionato.
Eppure se la storia è vero che insegna Moratti avrebbe dovuto pensare che ir realtà l’Inter più di uno scudetto ogni dieci anni non lo vinceva dagli anni ’70. Mancini in 4 stagioni ne ha vinti 3, corredati pure da 2 coppe Italia e 2 supercoppe italiane, riportando il nome dell’Inter ai vertici del calcio italiano. Non di quello europeo. Quello che è mancato veramente alla Ferrari meneghina per dimenticare in toto quei 17 anni passati all’addiaccio, nell’inferno di una Serie A spartita dai signori Moggi, Giraudo e Bettega da una parte, Galliani, Braida, Berlusconi dall’altra.
Ora, dopo tante parole i fatti. Roberto Mancini, classe 1964 lascia l’Iter. Al suo posto sembra arrivata in dirittura d’arrivo la trattativa con l’eclettico Josè Mourinho, una coppa Uefa e una Champions vinte con il Porto e due Premier League dominate sulla panchina del Chelsea. Un vincente insomma. Moratti ha esordito così: «Mi spiace ma devo mandarti via» . Immediata la replica di Mancini: «Mi deve o mi vuole?». E mentre lui lasciava l’ufficio del Patron scuro in volto, dopo aver continuato a sperare, a Lisbona Marco Branca stava aiutando Mourinho a fare le valige per volare da Moratti. Tutto fatto quindi, la Ferrari nerazzurra la guiderà il tecnico portoghese con il compito, arduo e mai più riuscitogli dopo quel miracolo lusitano, di riportare la Champions alla Pinetina dopo la bellezza di 44 anni.
Questo è il calcio, non basta neanche più vincere.
Simone Di Stefano – Articolo pubblicato il 28-05-2008 su Dazebao, l’informazione on line
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