L’astinenza lo aveva portato a inalare una bomboletta di gas. Inutile il disperato intervento delle guardie carcerarie.
Simone Di Stefano – Pubblicato su L’Unità del 31-05-2008
È morto perché aveva bisogno di una dose Maurizio Forma, 23 anni, tossicodipendente, detenuto in una cella al reparto G 11 del carcere romano di Rebibbia. L’ultimo sospiro con la testa immersa in una busta e una bomboletta del gas da campeggio aperta al suo interno, con l’intento di inalare una qualunque sostanza, tale da soddisfare il bisogno irreprimibile generato dall’astinenza. Non sono bastate le urla degli altri detenuti e non è bastato neanche il tempestivo intervento delle guardie penitenziarie, che hanno tentato fino all’ultimo di recuperare la vita del ragazzo, attraverso l’ausilio del defibrillatore. Non c’è stato nulla da fare. A renderlo noto, ieri, il Garante dei Detenuti del Lazio, Angiolo Marroni che ha evidenziato anche il grave problema in cui versano i tossicodipendenti reclusi: «Si continua a morire in carcere in un momento in cui si parla di inasprimento e di certezze delle pene. Non vorrei passasse in secondo piano la funzione di recupero sociale, di quelli che anche se in carcere sono pur sempre cittadini di questa società».
Nel Lazio, su 4714 detenuti, complessivamente sono 1727 i detenuti tossicodipendenti (di cui 94 donne) ai quali vanno aggiunti 160 alcoldipendenti. Si tratta di cifre che si aggirano attorno al 36,6% rispetto alla media nazionale, con il Lazio che compare tra le prime regioni in Italia, assieme a Liguria, Lombardia e Sardegna. A denunciare questi numeri è il Presidente della Consulta Penitenziaria del Comune di Roma, Lillo Di Mauro, che aggiunge: «Non si può immaginare di affrontare il problema dei giovani che fanno uso di sostanze stupefacenti mettendoli in carcere. Anche se democratiche, nel caso di tossicodipendenti, le prigioni sono una limitazione della libertà di giovani che hanno bisogno di cure adeguate, del sostegno delle loro famiglie». Spesso infatti i reati per cui queste persone vengono incarcerate sono legati al reperimento di droga, alla loro tossicodipendenza. «Occorre – prosegue Di Mauro – che i Servizi Sociali del territorio si facciano carico dei tossicodipendenti. Questo non vuol dire certo giustificare i loro reati, ma il tossico deve essere seguito, perché la sua è una malattia che non si può curare con la reclusione». La morte di Maurizio Forma si va ad aggiungere al lungo elenco di precedenti nelle carceri italiane, l’ultimo dei quali lunedì scorso, un palestinese malato di tumore morto al reparto per detenuti dell’ospedale Pertini.
Simone Di Stefano – Pubblicato su L’Unità del 31-05-2008
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